Ritardi consolari nel rilascio del visto: quando il giudice impone l’appuntamento
Ricongiungimento bloccato: il giudice può ordinare al consolato di agire
Il diritto al ricongiungimento familiare come diritto fondamentale
Il ricongiungimento familiare costituisce una delle più rilevanti espressioni del diritto all’unità familiare, riconosciuto come diritto inviolabile sia dal diritto nazionale che da fonti internazionali e sovranazionali. L’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, mentre l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce che “ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni”.
In ambito interno, l’art. 29 del Testo Unico sull’Immigrazione (D.lgs. 286/1998) recepisce i principi stabiliti dalla direttiva europea 2003/86/CE, estendendo il diritto al ricongiungimento a favore dei familiari dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti, compresi i titolari di protezione internazionale e i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo.
Il procedimento previsto dalla normativa italiana si articola in due fasi: la prima riguarda il rilascio del nulla osta da parte dello Sportello Unico per l’Immigrazione, subordinato alla verifica dei requisiti reddituali e alloggiativi del richiedente; la seconda prevede il rilascio del visto d’ingresso da parte della rappresentanza diplomatica italiana competente per territorio.
È proprio nella seconda fase che si annidano i principali ostacoli. Nonostante l’art. 6, comma 5, del DPR 394/1999 stabilisca che il visto deve essere rilasciato “entro trenta giorni dal ricevimento del nulla osta”, nella prassi tale termine è frequentemente disatteso. Le piattaforme di prenotazione – come VFS Global o BLS – risultano spesso bloccate, le comunicazioni restano prive di riscontro, e l’accesso fisico agli uffici consolari viene di fatto impedito.
Questo comportamento, che si configura come inerzia amministrativa, comporta una violazione sostanziale dei diritti fondamentali della persona, tra cui il diritto all’unità familiare, il diritto alla salute (art. 32 Cost.) e, in caso di presenza di minori, l’interesse superiore del fanciullo, principio di rango costituzionale e sovranazionale (art. 3 Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, art. 24 Carta UE).
In tali circostanze, l’ordinamento riconosce al cittadino straniero la possibilità di agire in via d’urgenza mediante ricorso ex art. 700 c.p.c., al fine di ottenere un provvedimento immediato da parte del giudice ordinario, che imponga alla pubblica amministrazione di adempiere ai propri obblighi. La competenza in questi casi è attribuita al Tribunale ordinario di Roma, in quanto foro esclusivo per i contenziosi relativi all’attività delle rappresentanze diplomatiche italiane.
La giurisprudenza recente ha offerto conferma e legittimazione a tale impostazione. In un caso discusso presso il Tribunale di Roma, una cittadina marocchina, madre di un rifugiato residente in Italia, si trovava nell’impossibilità di prenotare un appuntamento per il rilascio del visto, nonostante la disponibilità del nulla osta. Il giudice ha riconosciuto la condizione di vulnerabilità documentata della donna – anziana, affetta da patologie croniche e priva di sostegno nel paese d’origine – e ha ordinato al Consolato italiano a Casablanca di fissare l’appuntamento entro dieci giorni.
Analoga decisione è stata adottata nel caso di un cittadino pakistano, titolare di permesso di lungo periodo, che non riusciva a ottenere l’appuntamento per il visto dei suoi familiari presso l’ambasciata di Islamabad. In questo caso, il Tribunale ha riaffermato che il procedimento di ricongiungimento si conclude solo con il rilascio del visto, e che il silenzio consolare costituisce un comportamento illegittimo e lesivo dei diritti riconosciuti dall’ordinamento.
Queste pronunce ribadiscono con forza un principio di civiltà giuridica: le difficoltà organizzative dell’amministrazione non possono mai tradursi in una compressione dei diritti fondamentali, specie quando siano coinvolti soggetti fragili o minori.
Chi si trova in una situazione di questo tipo deve sapere che esistono strumenti giuridici efficaci e rapidi per reagire. L’intervento tempestivo del giudice può fare la differenza tra l’attesa indefinita e la realizzazione concreta del diritto all’unità familiare.
Se ti trovi in una condizione simile o conosci qualcuno che sta affrontando questi ostacoli, è fondamentale raccogliere la documentazione, agire con precisione e — quando necessario — intraprendere le vie legali previste dall’ordinamento.


