SOCIAL NETWORK: REATO DI DIFFAMAZIONE

Redazione Legale • 20 febbraio 2021

DIFFAMAZIONE SUI SOCIAL NETWORK (GIURISPRUDENZA)

La diffamazione sui social network, in particolare con riferimento a post diffamatori, può verificarsi in due generali ipotesi: a) la prima è quella della pubblicazione su pagine personali, alle quali, per accedere, è necessario il consenso del titolare (profili privati); b) la seconda è caratterizzata dalla pubblicazione di post, commenti o quant’altro su pagine nelle quali l’utente non sceglie direttamente i propri interlocutori (profili pubblici).

Le prime sentenze della Suprema Corte hanno focalizzato l’analisi sulla possibilità di compiere il reato de quo sin già dalla trasmissione di dati via e-mail, per rendersi conto che è certamente possibile che un agente, inviando a più persone messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse), aggravata ai sensi del terzo comma dell’articolo 595 c.p.

Alla luce di quanto finora detto, vale a integrare la fattispecie dell’art. 595 c.p. il carattere pubblico delle offese arrecate, certamente riconducibili in modo immediato e diretto al soggetto agente, con la evidente circostanza che il messaggio ingiurioso è pubblicato su un mezzo idoneo a raggiungere più destinatari.

La pubblicazione, sulla bacheca del proprio profilo personale, di un messaggio a contenuto lesivo dell’onore e della reputazione di un soggetto, integra il delitto di diffamazione aggravato dall’utilizzo di altro mezzo di pubblicità, contemplato nel comma 3 dell’art. 595 c.p.

Presupposti per la diffamazione sono: a) la precisa individualità del destinatario delle manifestazioni ingiuriose; b) la comunicazione con più persone alla luce del carattere pubblico dello spazio virtuale e la possibile sua incontrollata diffusione; c) la coscienza e volontà di usare espressioni oggettivamente idonee a recare offesa al decoro, onore e reputazione del soggetto passivo.

La Cassazione ha espressamente riconosciuto la possibilità che il reato di diffamazione possa essere commesso a mezzo internet, configurando la propagazione tramite social network un’ipotesi che integra quale aggravate quella di cui al terzo comma dell'articolo 595 c.p..

Il legislatore si è interessato, pertanto, ad un’analisi della condotta protesa a postare un commento offensivo sulla bacheca, in rapporto alla pubblicazione e alla diffusione di essa, e cioè volta a comunicare con terzi quale gruppo di persone apprezzabile dal punto di vista numerico (Cassazione penale, sez. I, 28/04/2015, n. 24431).

Pertanto, la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra l’ipotesi aggravata menzionata trattandosi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di soggetti. Un'aggravante che trova la sua ratio nella idoneità del mezzo utilizzato che determina una rapida pubblicizzazione e diffusione (Cassazione penale, sez. I, 28/04/2015, n. 24431; Cassazione penale, sez. V, 13/07/2015, n. 8328).

L’inserimento della frase che si assume diffamatoria la rende accessibile ad una moltitudine indeterminata di soggetti con la sola registrazione al social network e comunque, a una cerchia ampia di soggetti nel caso di notizia riservata agli amici (Cassazione penale, sez. I, 22/01/2014, n. 16712).

Per quanto attiene il contenuto del messaggio nella sua concreta portata oltre al contesto in cui esso si colloca, bisogna analizzare la concreta portata offensiva. Infatti nel caso in cui il soggetto agente posti un messaggio privo di intrinseca portata offensiva non può rispondere del reato di diffamazione, a nulla rilevando che tale messaggio fosse inserito in una discussione ove altri utenti avevano in precedenza inviato messaggi contenenti espressioni offensive, e anche per l’ipotesi in cui risulti che egli, pur condividendo la critica alla persona offesa, non abbia condiviso le specifiche espressioni utilizzate (Cassazione penale, sez. V, 21/09/2015, n. 3981).

Ai fini della valenza lesiva il messaggio deve essere inoltre contestualizzato, ossia rapportato al contesto spazio temporale nel quale è stato pronunciato, tenuto altresì conto dello standard di sensibilità sociale del tempo e del contesto familiare o professionale in cui si colloca. (Cassazione penale, sez. V, 13/07/2015, n. 451).

Il reato di diffamazione a mezzo social network non richiede la sussistenza del dolo specifico, essendo sufficiente, per quanto attiene l’elemento soggettivo, la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione correlata alla volontà che venga a conoscenza di almeno due persone. (Cassazione penale, sez. I, 22/01/2014, n. 16712).

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